News | 09 marzo 2022

Asti: lo chef stellato Walter Ferretto racconta la sua storia e parla del futuro della ristorazione

La storia del “Millefoglie di lingua foie gras”, piatto icona del Cascinale Nuovo

Asti: lo chef stellato Walter Ferretto racconta la sua storia e parla del futuro della ristorazione

Grazie alla collaborazione con Apro di Alba, l’accademia di formazione alberghiera e di ospitalità, incontriamo Walter Ferretto, chef titolare del ristorante Cascinale Nuovo, insignito di una stella Michelin, che si trova ad  Isola d’Asti. Il suo incontro con i fornelli è avvenuto quasi per caso, nonostante la famiglia gestisse già da tempo l’attività. Terminati gli studi da ragioniere immaginava infatti di cimentarsi in altre attività. E proprio la particolarità del suo percorso formativo rende ancora più interessante scoprire la sua storia e ascoltare il suo punto di vista sulle problematiche del settore della ristorazione.

Prima di lavorare in cucina, quali sono state le esperienze più importanti e formative, che le hanno fatto scegliere il mestiere del cuoco?

C’è stata sempre molta Francia nel mio modo di cucinare. Il ristorante 2 stelle Michelin dell’hotel Crillion in Place de la Concorde a Parigi, è stata la mia prima esperienza quasi da neofita. Perché non avevo una formazione scolastica adeguata, ero cresciuto seguendo il modo di cucinare della mamma e della nonna. Proprio la mamma, però, viste già le fatiche che nel lontano 1968 si facevano per portare avanti un’attività di ristorazione, mi aveva spronato a continuare gli studi in ragioneria, mentre papà voleva fortemente che prendessi in mano, io, in futuro, l’attività di famiglia. Il caso volle che incontrassi Giacomo Bologna delle cantine Braida di Rocchetta Tanaro e Angelo Gaja che in qualche modo mi hanno invogliato a intraprendere questo mestiere, sostenendomi nel frequentare stages formativi all’interno di diverse cucine. Soprattutto nella regione dell’Alsazia, dove ho imparato, ad esempio, a conoscere in maniera approfondita il foie gras

 

A proposito di formazione, considerato che ha imparato la professione “on the job”, quali sono i problemi oggi nell’individuazione di personale competente per la cucina e per la sala?

Proprio alla luce della mia formazione non propriamente in aula, ma direttamente sul campo, oggi posso tranquillamente affermare che il problema sta proprio nei percorsi formativi e nella mancanza di docenti adeguati, spesso poco aggiornati e poco incisivi nel motivare le future risorse professionali. Questo inadeguatezza si riflette anche nelle aspettative del pubblico che pensa che frequentare un ristorante stellato, per ciò che concerne soprattutto la sala, preveda ancora un cameriere impettito, in piedi ai lati del tavolo, formale e col compito solamente di raccontare il piatto senza alcuna emozione I tempi sono chiaramente cambiati. Nel mio ristorante, ma anche in quelli dei colleghi “ stellati” , il rapporto cliente- personale è “ friendly”, quasi di aiuto a godere di quell’esperienza gastronomica che poche volte nella vita si fa e che magari non si vede l’ora di tornare ad assaporare.

Quali sono le caratteristiche che un “tirocinante” deve avere per essere ammesso nella sua brigata e avere delle possibilità di essere poi inserito con successo nell’organico del suo ristorante con un contratto di lavoro


Le competenze e conoscenze di base ci devono essere, almeno sul piano teorico imparato a scuola. Ma a me interessa soprattutto che ci sia la passione e la voglia di imparare il mestiere in sala come in cucina. Io ho disossato per anni chili di rane e questo mi è servito per conoscere attentamente la materia prima, per cucinarla, innovarla, immaginandomela abbinata a sapori diversi e contemporanei. Questo aspetto relativo alla conoscenza della materia prima è molto importante. Da ragazzo quando finivo il mio turno in cucina, prendevo i libri a disposizione e studiavo tutte le tecniche di preparazione, della pasta, della carne, delle verdure. Oggi quando un giovane mi chiede di restare in cucina ore extra per imparare o per chiedermi dei consigli su come procedere, sono sempre molto contento. Amo circondarmi di giovani perché su di loro posso “lavorare” meglio, trasmettergli il mio sapere. Soltanto attraverso un buon rapporto fra lo chef e la brigata e una perfetta armonia fra la cucina ed il personale di sala, si possono instaurare seri e duraturi rapporti di lavoro. La continuità oggi manca: dopo 6 mesi, massimo un anno, noi ristoratori e chef dobbiamo iniziare nuovamente la ricerca di personale, ricominciare la formazione ed è una situazione molto stressante. Grazie alla collaborazione come chef docente presso l'accademia alberghiera e di ospitalità di Alba - l’Apro - ho la possibilità di favorire il tirocinio per alcuni ragazzi meritevoli. Un ragazzo spagnolo che si era appassionato al suo ruolo in cucina ed era diventato molto bravo, ha da poco tempo aperto la sua prima attività di ristorazione vicino Asti e per me è stata davvero una bella soddisfazione.

 

Il piatto che più la identifica è la “Millefoglie di lingua foie gras”, un piatto in carta addirittura dal 1987 ed ancora oggi apprezzato dai clienti e segnalato dalle guide. Come è nato?

Non so ancora adesso come sia successo! Posso azzardare questa spiegazione però: il menù di un ristorante negli Stati Uniti dove avevo preso servizio prevedeva che fra i piatti di punta ci fosse la famosa scottata di tonno con i semi di sesamo. Mi ero appassionato a quel piatto perché assomigliava a un taglio di carne rossa e pensavo sarebbe interessante proporlo nel ristorante in Italia, magari rivisitandolo per cercare di mantenere la cucina della tradizione piemontese in tema di carne. La fortuna volle che in cucina avevo un cuoco molto bravo che non leggeva ma memorizzava tutto quello che gli si diceva e così gli raccontai questo piatto e le mie idee al riguardo. Ecco che, a forza di provare e riprovare che cosa potesse veramente assomigliare a quel tonno che però potesse rispettare la cucina della mamma e della nonna, è nato questo piatto: un misto tra la tradizione francese del foie gras che sapevo maneggiare, e la lingua di vitello unito alle varie salse, uno dei pezzi fondamentali del bollito misto. Inizialmente lo servivo come unico piccolo antipasto: i clienti dovevano ancora un po’ da capirlo, abituati al classico antipasto piemontese. Poi, un giornalista del sole 24 ore, Davide Paolini, ne scrisse in maniera così entusiasta che fummo “costretti” ad inserirlo proprio fra gli antipasti, ma proposto in un unico pezzo un po’ più grande. Una piccola innovazione di cui eravamo un po’ titubanti ma che, forse anche grazie all’apprezzamento del giornalista, abbiamo preso coraggio e abbiamo continuato a proporlo con gioia: il pubblico ci chiamava per sapere se fosse sempre disponibile e, ovviamente, non potevamo che essere orgogliosi del nostro lavoro. E nel 1987 è stato davvero un azzardo… ma molto ben riuscito.

Come si è evoluto il suo menù nel tempo

Il mio menù cambia tutti i giorni: la proposta nel tempo è cambiata adeguandosi alla evoluzione dei gusti e della clientela. Quando si parla di contaminazione, la si deve intendere in senso positivo: le basi solide della tradizione ci devono essere sempre. Ma abbinate a qualche gusto particolare in modo da soddisfare anche i clienti internazionali che possono imparare ad apprezzare come un sapore del proprio territorio possa benissimo fondersi anche con quello di un altro. Per me cucinare è una fonte di ispirazione continua, un modo di pensare anche alle evoluzioni future dei gusti e delle esigenze del pubblico, che cambiano molto velocemente. Il mantenimento dei piatti della tradizione, con l’utilizzo costante dei prodotti legati ai produttori locali, è in piena sintonia col mio modo di proporre i piatti e gli abbinamenti, a volte in sperimentazioni coraggiose, ma sempre legate al territorio.

Insieme al ristorante, c’è anche l’hotel: come è cambiata l’attività dopo la pandemia?

La parte hotel è cambiata molto nel tempo a seconda delle esigenze della clientela. Da fine anni 60 a inizio anni 80 (anni in cui sono entrato in cucina), l’accesso alle camere era per lo più dedicato a coloro che terminavano la serata nella vicina discoteca (di mia proprietà) e, essendo il ristorante affacciato su una strada statale, molti avventori della zona soprattutto per motivi di lavoro, amavano magari fermarsi a cena e poi riposarsi in hotel. Negli ultimi tempi, invece, su richiesta, l’hotel è frequentato da molti turisti che in zona svolgono i loro tour enogastronomici e questa è una zona molto tranquilla e verde, e nemmeno così trafficata.

Il Cascinale Nuovo si trova ad Isola d'Asti in strada statale n. 231 telefono 0141. 958166

Chiara Vannini