Vini | 05 gennaio 2023

Nicola Biasi e i vitigni resistenti

I vitigni resistenti non hanno uguali in tema di rispetto ambientale, in quanto riducono quasi a zero la necessità di trattamento in vigna, rappresentando ad oggi la vera frontiera della sostenibilità nella viticoltura.

Nicola Biasi e i vitigni resistenti

I vitigni resistenti sono frutto di incroci, fatti per impollinazione tra Vitis Vinifera con una piccola parte di altre Vitis per lo più di origine americana e asiatica, da cui ricevono i geni della resistenza alle principali malattie fungine, in particolare oidio e peronospera.  PIWI è l’acronimo internazionale che riassume la parola tedesca pilzwiderständfahige che, tradotta, significa per l’appunto “viti resistenti ai funghi”.

 

Con il termine PIWI si indicano anche gli stessi produttori che hanno abbracciato la sfida della sostenibilità con una viticoltura di precisione e un’enologia dedicata e scrupolosa.

 

Nicola Biasi, classe 1981, è il miglior enologo d’Italia 2020 per Vinoway, Cult Oenologist 2021 per il Merano Wine Festival (il più giovane ad aver mai ricevuto questo riconoscimento) e vincitore del premio Enologo dell’anno e Progetto Vino dell’Anno ai Food and Travel Italia 2022 Awards.

Nel 2022 ha fondato la rete Resistenti Nicola Biasi, un progetto che raggruppa al momento otto aziende vitivinicole differenti, in sei territori diversi fra Friuli, Veneto e Trentino, accomunate dall’obiettivo di produrre vini di eccellenza praticando la vera e reale sostenibilità in vigna e in cantina, salvaguardando in maniera concreta l’ambiente:

·         Albafiorita a Latisana (UD), nella riviera friulana. In una zona non conosciuta per l’innovazione, Dino de Marchi decide di puntare sulla sostenibilità producendo i suoi vini bianchi esclusivamente da vitigni resistenti.

·         Ca'da Roman a Romano d'Ezzelino (VI), ai piedi del Monte Grappa. Massimo e Maria Pia Viaro Vallotto nel 2015 danno vita all’azienda di soli vitigni resistenti con cantina dedicata che a oggi risulta essere la più grande d’Europa.

·         Colle Regina a Farra di Soligo (TV), tra i colli trevigiani. Nel cuore del prosecco DOCG Marianna Zago decide di andare controcorrente concentrando la sua produzione su vini ad alta sostenibilità grazie all’impianto di vitigni resistenti.

·         Della Casa a Cormons (GO), in pieno Collio. Renato Della Casa decide di affiancare l’innovazione alla tradizione dei vitigni autoctoni del suo Collio bianco.

·         Poggio Pagnan a Mel (BL), nella Valbelluna. Gianpaolo Ciet e Alex Limana coltivano esclusivamente varietà resistenti e le vinificano nella loro cantina, la prima di Borgo Valbelluna.

·         Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna (VR), sull’alta costa veronese del Garda. Mauro e Leonardo Bonatti coltivano esclusivamente vitigni resistenti in un territorio quasi inesplorato per la viticoltura, ad oltre 700 metri s.l.m.

·         Villa di Modolo a Belluno, nel cuore delle Dolomiti venete. Francesco Miari Fulcis decide di ridare lustro alla dimora storica di Modolo, con un progetto di rinnovamento di cui è protagonista proprio la produzione di vino da vitigni resistenti.

·         E poi ovviamente il Vin de la Neu di Coredo (TN), in alta Val di Non, con cui Nicola Biasi stesso è entrato nella Top Hundred 2021 del Golosario e nel 2022 si è aggiudicato, tra gli altri riconoscimenti, i 5 grappoli Bibenda e i Tre Bicchieri di Gambero Rosso.

 

Il vin de la Neu nasce nel 2012 quando Nicola, dopo aver convinto il padre a lasciargli un ettaro di terra – tradizionalmente coltivato a mele – per trasformarlo in vigneto, impianta il vitigno resistente Johanniter (Pinot grigio + Riesling + parte asiatica).

 

Impiantare un vigneto a 1000 metri di altezza è un’impresa eroica: a quell’altitudine (e al freddo delle Dolomiti) l’uva fatica a maturare. L’esposizione è Est/Ovest (ove l’Ovest è coperto a un certo punto da un bosco, quindi il sole va via abbastanza presto), ma questo, se gestito bene, non è un problema, anzi diventa un vantaggio, perché significa maturazioni molto lente. La difficoltà è che bisogna produrre poco, perché altrimenti l’uva non matura. Le piante sono vicine (1 metro x 0,60), impiantate ad alberello in parete.

 

Si raccoglie l’uva tra il 10 e il 20 ottobre e si produce mezzo chilo d’uva per pianta, producendo in tutto 8 quintali d’uva, che vengono chiarificati in una vasca di cemento non vetrificata da 5 ettolitri per 48 ore. La fermentazione viene poi spostata in legno (batonnage una volta al giorno), con eventuale passaggio in cemento in funzione della malolattica, dato che questo vino nasce con un PH molto basso e acidità molto alta, ed entrambi gli aspetti vanno gestiti con attenzione in funzione della temperatura e della fermentazione.

 

Il 12 ottobre 2013 è la data della prima raccolta: durante la vendemmia iniziò a nevicare, e Nicola battezzò dunque questa produzione “Vin de la Neu”, che in dialetto significa “Vino della Neve”. Proseguì la lavorazione negli anni successivi e il padre, inizialmente scettico, non solo iniziò ad aiutarlo, ma dalla terza annata mise la sua firma sull’etichetta, insieme a quella del figlio. Dall’annata 2019 il Vin de la Neu è riconosciuto IGT Vigneti delle Dolomiti.

 

Il vino si presenta limpido e brillante, di tonalità giallo limone con impulsi di verde. Al naso arrivano sentori di agrumi, fusi elegantemente a profumi di erbe aromatiche mediterranee. All’assaggio spiccano magnolia, canfora, ananas e nocciola. Si presenta con un corpo medio-pieno, con uno sviluppo equilibrato e armonico.

Perfetto esempio di eccellenza di un ibrido che sconfigge qualsiasi pregiudizio e conquista al primo incontro.

Fulvio Tonello