Cielo blu metallico, solcato da nubi che si rincorrono come astronavi scintillanti. Nel fondovalle, i paesi ronfano, ormai immersi nell'ombra, col respiro pacato di cento comignoli, respiro di un filo di fumo delle stufe accese. Cento e cento cuori caldi.
Salendo verso l'alta Valle, la tormenta si sfuma nei valloni, sfida la calma sonnacchiosa di questo sabato di quasi inverno, un sussurro selvatico, un'eco di leggende che sfidano la razionalità, che friggono nelle gambe, che si può andare, vedere, cercare…
Dalla statale distinguo i contrafforti possenti dell’Orrido di Foresto, di una profondità magnetica.
Parcheggio l'auto nella piccola piazza davanti alla chiesa, un gruppetto di persone stanno sistemando le luminarie, in quella concitazione allegra, come quando si aspetta il Natale, o la neve.
Pochi passi, tra le austere case in pietra grigia, antiche porte con stemmi che danno su cortili chiusi come fortezze, paratoie, un mulino, e lo scroscio del Rio Rocciamelone, amplificato dalla maestosa cassa di risonanza che mi si dispiega intorno all’improvviso.
Le pareti calcaree incise dall’acqua sembrano ancora più alte, sulla sinistra si distinguono muri di pietre squadrate che chiudono strette barme, ripari sotto le rocce utilizzati forse un tempo come ricoveri da monaci eremiti, e poi reimpiegati come lazzaretto nei secoli delle pestilenze, e poi ancora nel XVIII secolo, durante una rovinosa epidemia di colera.
Ancora qualche passo, prima del guado che porta alla via ferrata, e lo sguardo non coglie più la presenza dell’uomo. Non più le case, e non ancora i segni fluorescenti delle vie di arrampicata dai nomi fantasy…
Già, gli orridi sono luoghi che vivono una vita propria, e che escono dai libri di geologia, o da quelli di leggende.
Poco discosto, lungo la vallata, sono scivolati ghiacciai, sono arrivati in volo microscopici granelli di polline, hanno transitato branchi di animali sulle rotte di migrazioni immemori, e poi cacciatori ad inseguirli, e invasori con pietre e bastoni, ed eserciti di difensori con elmi e spade…
E in tutto questo tempo, l'acqua scorreva, scavando la roccia. Null'altro.
Fino a che un giorno gli uomini hanno guardato queste pareti dalle stratificazioni messe a nudo, e hanno cercato una spiegazione, una risposta che fosse solenne ed impressionante come questa gola: un mostro, una creatura immensa, con immensi artigli, immense squame, immense creste, che si era scavata un riparo, che aveva ferito la montagna. Un drago, ora nascosto nell’evanescenza della tormenta, intrappolato nella ferita che lui stesso aveva inferto nelle pendici del monte.
In realtà, l’Orrido di Foresto attraverso i millenni ha intrappolato qualcosa, ma non si tratta di orridi rettili, bensì di un angolino di macchia mediterranea: infatti le oscillazioni climatiche che da sempre caratterizzano il nostro pianeta causarono, circa 7.000 anni fa, un innalzamento della temperatura, e la nostra valle fiorì di orchidee, e divenne un giardino verdissimo e profumato.
L'esposizione a S e la scarsità di gelate hanno fatto degli Orridi che incidono questo versante un ambiente protetto in cui le specie botaniche del bacino del Mediterraneo hanno potuto continuare a vivere, come in una serra.
Se a Foresto si trova come endemismo il Juniperus oxycedrus (un Ginepro della fascia mediterranea), a Chianocco, dove il Rio Prebec ha dato origine ad un altro spettacolare canyon, possiamo trovare l’unica stazione di Leccio sicuramente spontanea in Piemonte. Qui un tempo i rami sempreverdi del Leccio venivano benedetti al posto dell’ulivo alla Domenica delle Palme, e chiamati, per questo "Ramuliva".
E’ ora di ripartire, voglio ancora andare a vedere la cappella della Madonna delle Grazie, sulla via antica che portava a Susa. Ho letto che è decorata con splendidi affreschi gotici, ma questa è un’altra storia…