Giovan Battista Croce, gioielliere di Casa Savoia, nel Seicento descriveva l’Erbaluce come un grappolo di gemme splendenti: “Erbalus” è uva bianca così detta, come Alba Lux (Alba luce), perché biancheggiando risplende: fa li grani rotondi, folti e copiosi, ha il guscio o scorza dura: matura diviene rostita e colorita e si mantiene sulla pianta assai”. Una testimonianza che restituiva già allora il fascino luminoso di un vitigno destinato a diventare il simbolo del Canavese. Oggi, grazie all’alacre lavoro del Consorzio per la tutela e la valorizzazione dei vini Docg Caluso, Doc Carema e Canavese e agli studi di Gianpiero Gerbi, (enologo piemontese ed ex docente all’Università di Torino in Enologia e Tecnologie alimentari, che lavora da anni nel Canavese come consulente, traducendo le ambizioni delle cantine in interpretazioni autentiche dell’Erbaluce), l’Erbaluce si racconta attraverso tre anime: l’eleganza del Metodo Classico, la sobrietà del bianco fermo e la complessità senza tempo del passito.

Il Canavese (Canavèis in piemontese) è una regione storico-geografica del Piemonte situata nella parte settentrionale della provincia di Torino, estendendosi tra le colline moreniche dei laghi e i piedi delle Alpi, fino ai confini con Biella e Vercelli. Terra modellata dai ghiacciai, offre terreni morenici ciottolosi e sabbiosi, poveri in superficie ma ricchi negli strati profondi, talvolta attraversati da vene argillose come quelle di San Giorgio Canavese. Questa combinazione conferisce ai vini mineralità, tensione e complessità. La vite, costretta a radicare in profondità, sviluppa grappoli equilibrati e concentrati. L’Erbaluce, in particolare, è un vitigno vigoroso e resistente, allevato a pergola con impianti antichi a bassa densità e parcelle moderne fino a 2000 ceppi per ettaro, in paesaggi vitati prevalentemente pianeggianti. Le uve tardive, con buccia spessa e croccante, alta acidità, pH basso e pochi aromi liberi, ma ricche di precursori, si trasformano in cantina in vini longevi, minerali e sorprendenti. La presenza di catechine ne rafforza la struttura, mentre la maturazione tardiva assicura freschezza e integrità anche nelle annate calde.
La storia enologica dell’Erbaluce mostra una continua evoluzione. In passato veniva vinificato con le bucce, producendo vini per consumo familiare; con l’avvento della DOC negli anni ’60 e ’70 si affermò il bianco secco fermo, in linea con i nuovi consumi urbani di Milano, Torino e delle città universitarie. Le cantine, sebbene spesso piccole, adottarono progressivamente tecniche moderne come chiarifiche, stabilizzazioni, decolorazioni e pastorizzazioni, mantenendo l’uso del cemento e privilegiando colore chiaro e freschezza gustativa, mentre gli aspetti aromatici venivano valorizzati successivamente. Negli anni ‘90 si introdusse l’idea della criomacerazione, fermentazione malolattica e pressatura pneumatica, garantendo estrazioni controllate, salvaguardia dell’acidità, riduzione dei rischi di ossidazione e “pinking”, e valorizzando le potenzialità aromatiche e polifenoliche della buccia.

Oggi l’Erbaluce esprime tre grandi anime. Il Metodo Classico racconta la vocazione spumantistica con bollicine millesimate e, più recentemente, cuvée di annate diverse, unendo freschezza, verticalità e persistenza. Il bianco fermo, fresco e agrumato da giovane, con l’affinamento evolve in note di miele, idrocarburi ed erbe fini, capace di sorprendere nel tempo. E poi c’è il passito, che merita un approfondimento in più: è un “Sauternes tutto italiano, la memoria storica del Canavese, un vino che racconta secoli di tradizione e cura artigianale. In passato le uve venivano appese negli “stendini” delle passitaie domestiche, spesso affiancate da botti scolme di castagno o acacia, e talvolta arricchite con piccole percentuali di uva rossa o fortificate per conferire al vino un carattere “tachèe”. Ogni bottiglia era il risultato di una pazienza meticolosa e di una conoscenza empirica che si tramandava di generazione in generazione.
Con il tempo lo stile del passito si è evoluto: gli affinamenti sono diventati più controllati, le botti di rovere colme e il rapporto con il legno più equilibrato, così da valorizzare al massimo i profumi e la struttura senza coprire la naturale freschezza del frutto. Oggi la raccolta è spesso anticipata per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici e la botrite nobile viene ricercata con attenzione, aggiungendo complessità senza sacrificare l’eleganza. Dopo dodici mesi di appassimento e lunghi affinamenti che possono durare dai sei agli otto anni, e talvolta anche più, nasce un vino prezioso e dorato, che combina dolcezza e freschezza, aromi di canditi e spezie, profondità e finezza.
L’Erbaluce si offre quindi come una costellazione di interpretazioni che meritano tempo e attenzione nel consumo a tavola. Otto etichette raccontano il Canavese attraverso stili diversi ma coerenti, tutte unite da quella tensione luminosa che è la firma del vitigno. Le bollicine aprono il racconto con grazia: la Gran Cuvée di Tenuta Roletto esprime il lato più classico e misurato dell’Erbaluce Metodo Classico, con una trama fine e un finale minerale che invita agli antipasti di mare e ai crostacei, mentre il Nature 2019 di Cieck sceglie la via della purezza assoluta, vibrante e verticale, capace di dialogare con capesante e crudi di pesce esaltandone la freschezza.

I bianchi fermi mostrano invece l’anima quotidiana e gastronomica del vitigno: il Primavite 2023 di Cantine Crosio, agile e fragrante, accompagna con naturalezza l’inizio del pranzo tra verdure e risotti delicati; il Reirì 2023 di Pozzo, più teso e slanciato, trova sintonia con il pesce al forno e le preparazioni marine più leggere. Salendo di profondità, l’Erbaluce dimostra anche una sorprendente vocazione strutturale: Aὐτόχϑ∞ν 2020 di Giacometto Bruno e Punto 75 2020 della Cooperativa Produttori Erbaluce di Caluso raccontano la capacità del vitigno di sostenere piatti più importanti, dalle carni bianche arrosto al tacchino ripieno, fino ai formaggi stagionati, mantenendo sempre equilibrio e precisione.

Infine, il passito, vera opera di pazienza e cultura contadina, chiude il cerchio con Sulè di Orsolani e Bohémien 2019 di Tappero Merlo che portano nel calice mesi di appassimento e anni di attesa, restituendo aromi di frutta secca, miele, canditi e spezie sostenuti da una freschezza vitale. Sono vini che arricchiscono i momenti di degustazione più delicati, esaltando i dessert natalizi, la pasticceria secca e i torroni, o anche formaggi erborinati e crostate di frutta secca. La loro ricchezza aromatica e l’equilibrio tra dolcezza e freschezza creano una perfetta armonia gustativa, anche per un semplice momento di meditazione a fine pasto, trasformando l’assaggio in un gesto consapevole.
In questo racconto corale, l’Erbaluce di Caluso si afferma come una delle espressioni più raffinate del Made in Italy enologico: un vino raro, faticoso da produrre, capace di sorprendere e di dare valore al tempo condiviso, soprattutto quando la tavola diventa il centro della festa.








Fulvio Tonello



